venerdì 29 gennaio 2010

Andiamo a Berlino a morire che a mettermi nei tuoi panni sono incapace.


Erano giorni che V. cercava di interpretare le immagini che le attraversavano la mente. Una farfalla, un bambino. Il volo, la rete. Libertà, costrizione. Lo chiamano affetto, interesse. Ha deciso di smettere di essere un prodotto sul mercato, o almeno di essere quella farfalla che il bambino cercava di catturare con insistenza. Ha rotto le maniglie e le ha gettate nel posto più lontano e sconosciuto. Ha strappato e accartocciato ricordi rossi che il tramonto bastardo tenderà a ricordarle ancora. La cosa che più le riusciva bene era mettersi nei panni altrui. Nel terzo cassetto dell'armadio una veste puzzava di vecchio, morto e seppellito. Aveva aspettato trecentosessantacinque giorni e due settimane prima di infilarsi in quella stoffa bianca percorsa da punti d'ago e filo. Ma ci stava troppo larga, V. era troppo piccola per portarsi dentro la purezza e se provi a nuotarci va a finire che anneghi.
Si spogliò e cercò le vesti rosse del tramonto, ma dov'erano? E perchè erano così trasparenti?
Non riusciva a strappargli la pelle. Sembrava così facile passare dall'aria all'odore napalm.
Intrattabile e incapace, così si sentiva.
V. si trovava nel giardino, ma il bastardo non ha voluto trovarla.
Era stanca di aspettare.
Andiamo a Berlino a morire?

venerdì 8 gennaio 2010

Ocean.

Ci si perde in me, suppongo. Come faccio a perdermi io, se sono un'isola? Oceano, bagna le mie coste. Ingeriscono pillole che non danno esistenza e felicità gratuita, è tutta apparenza. Abbraccio il vuoto. Ci faccio l'amore. Non basto. Non vi basto. Non mi basto. Mai più. Ho aperto i varchi evitando la resa dei conti, impossibile albergarvi. Vi si son strappate le cornee oculari a furia di cercare il caldo dentro me. E' inverno. E' passato un anno. Da oggi non contate su di me.