giovedì 24 giugno 2010

Siberia.

Oggi ho deciso che voglio l'inverno, così posso vestirmi pesante senza che nessuno mi si scagli contro o mi rompa i genitali. Intanto sogno la Siberia, sogno d'esser la regina proprio come lei m'ha immaginato e ho deciso che ci iberneremo lì.
Ma non mi è mai piaciuta la storia delle principesse, solo oggi voglio sentirmi pronta di indossar la vestaglia di Emme. Okay, nessuna purezza, in me.
Va bene anche del bianco sporco?

Continuo a raccogliere lividi sul mio corpo, come uno spazzino con i rifiuti.
Sembra quasi un dovere.
Ma appagante, sì, lo è.

martedì 22 giugno 2010

Sono La Terapia. (e sento i colori dentro.)

Oggi non mi nasconderò dietro una lettera, scrivendo in terza persona. Illuminiamo un pò le mie membra e la mente altrui. E' vero mi piace la luce soffusa, leggera, ma è pur sempre luce e allora vorrà dire che andrò a coglierne il calore, almeno quel poco che ne resta.
Sono due giorni che penso alla voce di Ian Curtis e la mia pelle è testimone di ogni mio brivido, penso che quest' uomo sconosciuto mi aiuti spesso a riflettere, sono innamorata della sua voce, ne sono perdutamente innamorata. Ma non è lui la terapia, quella sono io. Sono La Terapia! Sono io a decidere che cosa ascoltare, a decidere quando è ora di iniziare o finire, a decidere se la mia bocca s'allargherà, se dovrò dimostrare una mia ipotetica emozione tramite qualche goccia nata dalle mie orbite. E poi pensavo a quando speravo di diventare sempre di più, a quando speravo di avere della carne in meno, sperando la mattina dopo di svegliarmi con delle gambe rinsecchite, a quando avere un viso era un optional, per me. A quando mia madre mi disse che avrebbe voluto chiamarmi Micaela e io mi incazzavo, perchè Federica non mi piaceva. Mi nascondevo gli occhi con delle lenti, non m'importava di avere dei capelli trasandati o un bel taglio, che so. Si era così spensierati una volta, ma mi avevano avvisato che un giorno mi sarebbe importato così tanto del mio corpo, da diventare un'ossessione. Che brutto dar ragione a qualcuno, alle volte! Solo che adesso sono io a decidere cosa si può o no, cosa devo o non devo, cosa voglio o cosa lasciar perdere. Sono io, cazzo. Uao, non ci avevo mai pensato. Non so che cosa ho aspettato fino ad oggi, forse la fata turchina, quella che sarebbe stata capace di realizzare qualche mio desiderio, che avrebbe fatto di me una persona felice, quella che avrebbe sistemato tutto, sparando colla come i Prozac + una volta dicevano. Ma anche questo, sì, anche io sono la colla che spara la felicità.
Io.. Sono.


Ritorno a lui, Ian, mi accompagna da stanotte, non avevo le cuffie nè alcuna canzone in esecuzione. Era nella mia testa che gironzolava, credo si trovasse così bene. Adesso che c'è un pò d'ordine tutto andrà bene, lo sento. Mi hanno detto che il mio sorriso in mezzo a quel silenzio stanotte facesse gran rumore, era una bellissima combinazione.
Mi piace sorridere,
mi piace. Era da tanto che non lo facevo, o meglio, che non mentivo.
Ho sorriso per me stessa, per nessun altro.
Guardo qualsiasi segno sul mio corpo, lasciando perdere l'inchiostro sottopelle, quasi penso che mi rendano speciale, non mi devo vergognare, si può esser belli anche vestiti di lividi.

Ah, Federica sta bene, V inizia a farsi un giro nel corridoio di un ospedale.
E forse non era mostrare i miei seni che doveva farmi preoccupare, ma spogliare il mio cuore, così come ho fatto oggi. E ne sono felice, fiera.

A me stessa.



lunedì 21 giugno 2010

Giovanna d'Arco, I love u.

E poi si sapeva che V. indossava sempre una maschera,
erano gli altri che volevano far finta di non vederla. Era così sincera, senza alcuna veste davanti alle sue passioni, davanti a chi nutriva puro amore per lei. Ecco perchè a quel punto per lei era sempre Gennaio, faceva così freddo e a gettarsi a mare d'inverno le si induriva la pelle. Sembrava quasi Giovanna d'Arco ricoperta con la sua armatura insostenibile. E a V, le si appesantiva il cuore, ma era solo in quel caso che si ricordava di averlo. Era così saggia, ma non se la "menava", erano gli altri a dirlo e forse lei non avrebbe nemmeno voluto esserlo. Mancavano 19 giorni al suo compleanno, avrebbe raggiunto la maggior età ed era così preoccupata, non voleva sentirsi più responsabile di quanto già lo era stata. Eppure quel giorno lo aspettava con ansia, aveva un punto di riferimento incontaminato, aveva gli occhi ricoperti da una patina così lucida d'amore e di gioia. Solo per Lui, solo per chi la vita gliela stava donando.
E la vita l'amava, al contrario di chi dice che i bulimici, gli anoressici, i pazzi, i depressi, gli infelici, avrebbero preferito la morte. V, sapeva benissimo che pensieri così stupidi e insensati erano solo trasmessi dalla mente di chi di vita ne aveva fin troppa, ma non gli bastava mai, a chi esisteva e basta. Invece lei sapeva di vissuto e ripeteva continuamente, nella sua testa, la solita frase: "Porto su di me le cicatrici come fossero medaglie". E Coelho la faceva star bene, leggere le faceva bene.
V. pensava dieci volte prima di agire, ma quella mattina, balzò dal letto e decise, a testa alta, che niente e nessuno avrebbero dovuto colpirla, sconfiggerla. Non più, almeno da quel giorno in poi. Sennò, diciamocelo, che cazzo se l'era tatuato a fare quel "Stand Up And Resist" in cui la vera V. credeva fortemente?
Ma poi capita che l'insicurezza è lo scudo sbagliato, come l'isteria, come la paura, come la rabbia. E lei tremava e piangeva senza fermarsi un attimo, scendendo le scale a spirale dove la testa non dirigeva più sui suoi gesti. E poi arrivava la costrizione e le botte alla colonna vertebrale, le mani ai polsi che adesso ricordava come delle manette, le cui chiavi erano state smarrite. Gli occhi pieni di rabbia e i suoi pieni di dolore che si incrociavano, investendosi. Era lei la causa di tutto, era lei che s'era sentita un male solo al suono di quelle parole: la rovina, la rovina, lei era la rovina di tutto, le avevano detto.
E le parole in cui non credeva più, l'aveva sempre detto che le promesse non valgono a un cazzo.
Si sentiva solo tagliata fuori, voleva solo sentirsi importante.
"Dov'è l'amore, dov'è? Voglio fare l'amore!"
"DEVI VIVERE!"

Un abbraccio e non ci pensi più. Facciamo così.
Vaffanculo, Testa alta, Viviamo.


sabato 19 giugno 2010

Straripare non era mai stato così facile.






Era notte, il vento cercava di parlare invano a quelle mura consumate dal tempo, dalle botte causate dal cranio di V.
Aveva pur sempre una testa dura, quella piccola grande donna, eppure era così fragile.
Più sbatteva la testa, più si svuotava, più vomitava, più le si contavano le costole e a quel punto, era estremamente felice.
Ormai l'apice della sua felicità era causato da quella costola in più che andando avanti coi giorni, si faceva vedere.
Si sentiva bella, le piacevano le ossa. Voleva un seno piccolo e le gambe rinsecchite, alla vista di tutto questo, sul corpo di qualcun altro era davvero un suicidio per lei.
Consapevole del male che si recava dentro, cercava di correggersi erroneamente, poi, amando, provando ad amare, si chiedeva il perchè e il per come di quel rifiuto che generavano gli occhi di Chi non l'aveva mai degnata di uno sguardo, di chi, forse, si tappava gli occhi pur di non guardare di sfuggita il profilo di V.
S'era addormentata sul divano, il cuscino bianco come ogni notte, si dipingeva di rosso.
Non riusciva a prendere sonno, ma quando lo faceva, si sentiva paralizzata, le sue braccia erano così pesanti da non poter commettere alcun movimento.
E la paura, la paura, V. aveva tanta paura. V. era La Paura.
Adesso conta le gocce di latte da bere, le briciole da mangiare.
E la bottiglia dell'acqua, al suo fianco che non l'abbandona mai,
per poter scatenare prima possibile una tensione così forte da rompere gli argini.
Dio, quanto avrebbe voluto chiamarsi Marla Singer.



SONO IL CUORE SPEZZATO DI TYLER,
SONO IL CUORE SPEZZATO DI TYLER,
SONO IL CUORE SPEZZATO DI TYLER.

Sono La Vita Sprecata Di Tyler.

sabato 12 giugno 2010

Ho visto una donna morire.




E' difficile tornare, a volte si compiono atti senza un'azione volontaria.
A volte è meglio reagire d'impulso, si potrebbero far cose che a mente lucida non si farebbero mai e poi mai. Oh sì, a volte è un bene. A volte.
A., 18 anni, fiera possessrice di vagina, occhi castani e ciglia lunghe, capelli come seta, sorriso da sognatrice. Le sue vene non si tappavano mai finchè lei continuava a scrivere, non si riusciva a immaginarla senza una penna in mano e dei pensieri di carta. Davano spazio al suo sangue per circolare meglio. Il suo ossigeno, ogni parola che il suo cervello e il suo cuore le recapitavano, erano il suo ossigeno e insieme a queste, lo era anche Lui, paragonato più volte a qualcosa di metafisico, speciale, forte apparentemente, fragile dentro. C'era chi si sarebbe spezzato per raccoglierne i pezzi e non vederlo crollare mai più.
Si lottava per la libertà Venerdì mattina, l'Italia imbavagliata: ci si sente indignati, stanchi, forse più forti, incazzati.
Ventiquattro ore spese così, sicuramente delle strane ventiquattro ore. C'era qualche gas nobile nell'aria.
Si spense la luce e dei punti bucarono il cielo, come ogni notte. Ma quella notte, vi era tutto tranne che consolazione.
04:04, pelle e carne trita si mischiarono con l'asfalto che circondava un ospedale.
A. riusciva a sentire ancora l'eco dentro di sè, non erano parole ma colpi all'anima, questa volta.
A. ha visto una donna morire.
C'era chi tempo prima sulla propria testa aveva il cielo grigio, confusione in casa, ancor peggio dei tuoni che facevano a pugni con le nuvole.
C'era chi, aveva conosciuto una donna, M., di cui erano rimaste solo la pelle e le ossa.
C'era chi aveva conosciuto delle ossa che non si reggevano più.
Cadde nella doccia, quella donna.
Rimase seduta nella vasca, fradicia, coi denti battenti come le dita di uno scrittore sulla propria macchina da scrivere, non v'era modo di fermarli. Vi rimase per più di un'ora, nel suo silenzio.
E' difficile rendersi conto di non essere più autosufficienti e lei non lo voleva accettare.
C'era chi aveva visto cadere un quadro dietro di Lei e insieme al quadro i suoi occhi rivolti verso l'alto, era ancora cosciente di ciò che stava accadendo nell'aria.
C'era chi aveva visto due occhi sbarrati, una mano fredda che non riusciva a stringere la sua.
C'era chi aveva visto una donna che non riconosceva più la sua bambina.
C'era chi ha guardato dentro di sè e non ha saputo altro che dire "Ciao M.", anche se lei probabilmente non sentiva, anche se la sera prima avevano litigato.
C'era chi andandosene via sputò ogni essere presente in quella stanza. Erano lì, contro la volontà di quella donna.
Anche quest'ultima, venne portata in quell'orrido edificio bianco, o meglio, si tentò di arrivarci fino all'ultimo respiro.
C'era chi credeva nell'immortalità, c'era chi credeva che M. fosse la sua Dea immortale.
Cinque minuti, solo cinque.
Il suono emesso da un telefono, le prime parole elettroniche di chi sapeva già, prima di chi ne aveva realmente il diritto.
Dispiaceri, conforto, poca concezione di ciò che realmente stava accadendo.
C'era chi si incazzava e mandava la gente a farsi fottere, non era quella la verità di cui era a conoscenza, non poteva crederci. Andava tutto bene, o forse voleva solo crederci per almeno altri pochissimi minuti. Per una volta, c'era chi avrebbe sperato di avere a che fare con gente falsa.
C'era chi vide arrivare un uomo, in così poco tempo, non era un bel segno, affatto.
Non erano arrivati all'edificio bianco.
Lo sguardo di un uomo davanti a quello di una sedicenne, "C'era chi", e a quello di un bambino destinato a diventare grande senza poter rispettare i suoi tempi.
Pianti, urla, tremolii e incredulità.
Negazione.
Le braccia di quell'uomo erano diventate troppo corte per riuscire ad abbracciare tutto il dolore.

Anche "C'era chi", stanotte, ha rivisto una donna morire.

(Per quanto riguarda la foto postata, richiederei discrezione.
E' un MIO scatto, come tutti gli altri. Anche se è fatto con il cellulare per me è importantissimo.
I soggetti di quella foto sono tutta la mia vita.
Ha un valore inestimabile, nonostante sia veramente pietosa, artisticamente parlando.
Detto questo, detto tutto.
Au revoir.)

venerdì 4 giugno 2010

Minaccia di un'adulatrice di punti noir.

Ho perso un pò di cerchi concentrici e mi son persa io stessa
nel giardino.
Ah, quel giardino tanto amato e altrettanto odiato.
Tornerò. E non è una promessa.
Vi ucciderò ancora con i miei punti.

Adieu.